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Condotte terapeutiche per la...

Condotte terapeutiche per la rieducazione motoria dell'emiplegico 2/e 1986

Libraio Ghedini Editore

Autori: Perfetti C
ISBN: 9788877800664

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Condotte terapeutiche per la rieducazione motoria dell'emiplegico

Carlo Perfetti

con la collaborazione di Stefania Briganti, Walter Noccioli, Fabrizio Panattoni

Presentazione di Silvano Boccardi

Collana di Riabilitazione Medica 11

Le carte in tavola

è sempre stata lontana da me l’idea di scrivere un libro di esercizi in cui si spiegasse esattamente come impugnare il malato e come farlo rispondere esattamente in un certo modo.

Gran parte delle proteste contro le tecniche sincroniche dipende proprio dall’inevitabile rigidità (visti i principi informatori) degli esercizi da queste proposti. Questa caratteristica infatti, se da un lato tranquillizza e gratifica l'esecutore, dall’altro lato non può non umiliarlo al ruolo di macchina non intelligente pre-programmata su pochi schemi,

 

Presentazione di Carlo Perfetti

Le carte in tavola

è sempre stata lontana da me l’idea di scrivere un libro di esercizi in cui si spiegasse esattamente come impugnare il malato e come farlo rispondere esattamente in un certo modo.

Gran parte delle proteste contro le tecniche sincroniche dipende proprio dall’inevitabile rigidità (visti i principi informatori) degli esercizi da queste proposti. Questa caratteristica infatti, se da un lato tranquillizza e gratifica l'esecutore, dall’altro lato non può non umiliarlo al ruolo di macchina non intelligente pre-programmata su pochi schemi, o di imitatore sempre imperfetto di santoni sempre irraggiungibili, fatali modelli di perfezione stilistica, ai quali soli è riservata, grazie alle loro doti tecniche (Morosini, 1981) la possibilità del miracolo terapeutico.

Ho cercato perciò di esporre problematiche ed ipotesi di soluzioni e, per quanto possibile in una monografia, di discuterne.

L'esercitazione pratica deve far parte della discussione, non può sostituirla e neppure abolirla, deve essere usata solo come convalida e per lo più temporanea.

Solo la pigrizia mentale e la malafede di alcuni, sempre troppi purtroppo, possono tentare di ridurre un progetto riabilitativo per una patologia così complessa, co­me quella dell'emiplegico, ad una serie stereotipata di stereotipici movimenti (attivi, passivi, segmentari, globali) o ad una catena conclusa di esercitazioni. Lo studio della patologia, della fisiologia, della patodinamica progredisce continuamente, come è possibile immobilizzare su qualche stereotipata manualità lo studio dei processi di recupero?

All’opposto di tanti colleghi che ritengono che tutti gli esercizi possano andar bene, basta saperli fare e trovare il malato a cui meglio si addicono, io ritengo che tutti gli esercizi vadano male, nel senso che, nella migliore delle ipotesi, rappresentano, e non potrebbe essere altrimenti, solamente quanto di più perfezionato possa esser fatto oggi, alla luce delle nostre conoscenze attuali, destinati ad essere superati tanto più rapidamente, quanto più intenso sarà il nostro impegno di studiosi.

Così come nessun medico userebbe farmaci di trenta anni fa senza tener conto delle più recenti acquisizioni della farmacologia, così sarebbe assurdo pretendere di fermare il progresso della disciplina riabilitativa continuando a proporre tecniche cristallizzate a trenta anni fa, che tra l’altro, dati i loro principi, non permettono di accogliere nel loro interno nulla di più recente.

Non si può non essere contrari a metodiche cristallizzate, così come non si può non essere favorevoli a metodiche aperte, cioè a quelle proposte organiche che abbiano i requisiti per permettere l’inserimento di nuovi contributi teorici, da parte delle scienze di base, e pratici da parte di ogni riabilitatore consapevole che le applichi. Posizione ben diversa dal qualunquismo metodologico che purtroppo permea ancora di sé tutta la cultura riabilitativa italiana.

Gli esercizi possono andare tutti bene o possono essere mischiati tra di loro, solo nel caso che vengano considerati come manualità impiegate e inspiegabili, indipendenti dal patrimonio di idee dal quale derivano.

Questa è la base del qualunquismo metodologico, nulla del quale è più dannoso al progresso delle scienze riabilitative, soprattutto quando è fatto proprio da chi ha il compito di insegnare.

Atteggiamento offensivo, tra l’altro, nei confronti di chi ha elaborato tali metodiche partendo dal proprio lavoro di ricerca e di sperimentazione.

L’accettazione di tutto, o, peggio ancora, il tentativo di mescolare tutto in un unico calderone, sta a significare che nulla è stato compreso delle proposte dei vari Autori e che la riabilitazione è tuttora vista, anche dai suoi addetti ai lavori, come attività unicamente manuale, ma soprattutto che questa disciplina non ha ancora raggiunto a tutti i suoi livelli neppure la prima fase di una maturazione scientifica.

Eppure tanto sembra essere cambiato in questi ultimi anni soprattutto nel senso del superamento del rigido neuromotricismo?

In nessun convegno che tratti della riabilitazione dell’emiplegico vengono più citati certi nomi, non esiste congresso, riunione o corso d’aggiornamento in cui non si parli d’apprendimento, non esiste riabilitatore che non sostenga di averlo sempre pensato che la riabilitazione fosse apprendimento, non esiste terapista che non giuri di aver sempre cercato di far ricorso all’attenzione o alla memoria o alla presa cosciente d’informazioni anche nel trattamento del più grave dei bambini cerebropatici.

Non resta che sperare che dopo la generazione dei terapisti del ciao, esperti unicamente nella flesso-estensione contemporanea di tutte le dita del malato, dopo quella dei terapisti dello stretch fiduciosi unicamente nel valore magico del riflesso di stiramento, non sia la volta dei terapisti dell’apprendimento, per i quali questo termine acquisti di per se e senza sostanza alcuna, valore taumaturgico. O, peggio ancora, che qualche raffazzonata nozione non divenga l’abito nuovo da mettere sopra vecchi manichini per conferire loro nuova dignità e per cambiare tutto a parole, perché nulla cambi nella realtà.

Il timore è che sotto l’abito scintillante di lustrini, di pennacchi, di schemi e d’apparati di previsione continuino gli stiramenti, i carichi precoci, la terapia occupazionale variamente mascherata, le docce in plexiglass, il ricorso al riflesso assoluto per ottenere un movimento purchessia. Il che con l’apprendimento ha ben poco a che vedere, così come il riflesso di stiramento aveva ben poco a che vedere con gli usi ai quali veniva destinato, da poco meditate tecniche.

Quanto scritto in questo volume è stato scritto proprio con l’intento di costringere la mente a mettere le carte in tavola a qualunquisti e convertiti dell’ultima ora.

Essere convinti che riabilitazione sia apprendimento vuol dire credere che si debba dare la priorità allo studio di certe tematiche piuttosto che ad altre, al rapporto con certe scienze piuttosto che con altre e soprattutto che il processo di recupero deve esser visto in un modo ben preciso; solo certe proposte terapeutiche possono avere valore, e che, per stabilire questo, debbono essere analizzate e definite alla luce di un ben determinato modo di vedere.

Ad esempio di tutto ciò, ho riportato gli esercizi che più spesso vengono da noi utilizzati nel trattamento dell’emiplegico adulto. Alcuni già accennati in pubblicazioni precedenti, altri mai pubblicati. Ho comunque ritenuto opportuno riportare solo quelli ben collaudati e da noi ritenuti sicuramente efficaci. Niente di definitivo né di conclusivo.

Il nostro lavoro alla ricerca di nuove soluzioni procede ancora, nonostante le difficoltà del momento storico che stiamo vivendo che sembra del tutto contrario ad ogni serio ed umano progetto riabilitativo.

Autori
Perfetti C
Anno
1986
Edizione
02
Volume
1
Pagine
206
Formato
17x24
Aspetto
Brossura
9788877800664
Nuovo prodotto
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